Continuazione del
post precedente...
Quando, l'8 novembre scorso, il Papa, per spiegare il suo messaggio sulla mondanità ha usato la parabola dell'amministratore disonesto e scaltro con:
«Eh sì, questa è una lode alla tangente! L’abitudine della tangente è un’abitudine mondana e fortemente peccatrice. È un’abitudine che non viene da Dio» e con «Dio ci ha comandato di portare il pane a casa col nostro lavoro onesto! E quest’uomo, amministratore, lo portava, ma come? Dava da mangiare ai suoi figli pane sporco! E i suoi figli, forse educati in collegi costosi, forse cresciuti in ambienti colti, avevano ricevuto dal loro papà come pasto sporcizia, perché il loro papà, portando pane sporco a casa, aveva perso la dignità! E questo è un peccato grave! Perché si incomincia forse con una piccola bustarella, ma è come la droga, eh!» «Qualcuno di voi potrà dire: 'Ma, questo uomo ha fatto quello che fanno tutti!'. Ma tutti, no! Alcuni amministratori, amministratori di aziende, amministratori pubblici; alcuni amministratori del governo... Forse non sono tanti. Ma è un po' quell'atteggiamento della strada più breve, più comoda per guadagnarsi la vita».
In effetti ha distorto la parabola. La parabola non parla dei figli dell'amministratore, né di lavoro onesto, né di pane sporco! La parabola "sta" in un contesto storico, contesto in cui -secondo alcuni commentatori- bisogna ricordare l’ambiente palestinese dell'epoca ed i suoi costumi. I grandi proprietari terrieri, per lo più stranieri, avevano alle proprie dipendenze degli amministratori locali, ai quali lasciavano grande libertà e piena responsabilità: loro compito era di realizzare per il padrone il profitto pattuito, ma, una volta assicurato questo profitto, avevano anche la possibilità — maggiorando il prezzo — di realizzare guadagni personali. Questo era consentito. Si può dunque pensare che l'amministratore -nell’intento di procurarsi amici che lo avrebbero aiutato nei momenti di difficoltà- abbia semplicemente rinunciato alla propria parte di profitto, ma senza danneggiare il padrone.
Ed è da qui che il Papa accenna alla 'furbizia' descritta nella parabola; lo fa da furbo anche lui (il Papa). Infatti il tema della furbizia dell'amministratore, elogiata dal Padrone (che sarebbe Gesù), è fonte di controversie interpretative piuttosto aspre fra gli studiosi dei testi sacri; così il Papa ci vende la sua interpretazione:
«Nella parabola -dice Bergoglio- il padrone loda l’amministratore disonesto per la sua furbizia». «Ma se c’è una 'furbizia mondana' c’è anche una furbizia cristiana, di fare le cose un po’ svelte, non con lo spirito del mondo, ma onestamente».
Personalmente, mi è sembrato che quasi cercasse di giustificare 'il sistema Italia'...
«...forse non sono tanti» «è un po’ quell’atteggiamento della strada più breve, più comoda per guadagnarsi la vita...».
Forse perchè il fenomeno è diffuso e in fondo abbastanza accettato socialmente?
Forse perchè -da argentino- conosce molto bene la corruzione e ci si è abituato?
Cosa volete che sia ? In fondo sono solo «... Alcuni amministratori, amministratori di aziende, amministratori pubblici; alcuni amministratori del Governo...».
E che sarà mai qualche amministratore del Governo corrotto?
Il punto non è se siano tutti, tanti o pochi... il punto è che ci sono! E hanno il potere di dirigere il sistema. E intanto i figli dei 'poveri onesti' magari devono mangiare il 'pane sporco' dei cassonetti per davvero. Tanto... cosa vuoi che siano pochi corrotti al governo?
La conclusione del Papa?
«E poi finirei come quell'altro del Vangelo che aveva tanti granai, tanti silos ripieni e non sapeva che farne: 'Questa notte dovrai morire', ha detto il Signore. Questa povera gente che ha perso la dignità nella pratica delle tangenti soltanto porta con sé non il denaro che ha guadagnato, ma la mancanza di dignità! Preghiamo per loro!».
Mmmh...il punto è che che quei 'granai', oggi, costano povertà e miseria a milioni di Italiani. E non serve 'pregare'. Serve mettere in prigione chi ha rubato, perché non ha rubato solo i soldi... ma ha rubato anche la dignità, oltre ai soldi. Oggi chi non ha da mangiare, chi non arriva più a fine mese... non ha nemmeno la dignità. Non può averla. Io li vedo, gli sguardi dei genitori che non possono pagare i pop-corn al cinema... o di quelli che negano un'uscita al cinema... E non li vedo pieni di dignità. La dignità la vedo sempre di meno... perché, purtroppo, la dignità non si mangia.
Serve restituire il grano a chi è stato rubato. Pregare, non serve.
'Questa povera gente che ha perso la dignità nella pratica delle tangenti...' non è affatto povera e non ha perso nessuna dignità: non si può perdere ciò che non si ha. Semplicemente 'chi pratica le tangenti' non ha dignità, né etica, né morale, ma un solo credo e un solo dio: il denaro.
E il Papa ha omesso completamente di commentare il finale della parabola: «Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto; e chi è disonesto nel poco, è disonesto anche nel molto. Se dunque non siete stati fedeli nella disonesta ricchezza, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra? Nessun servo può servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire a Dio e a mammona'».
Da notare che adesso la parola 'mammona' della parabola, è sostituita da "denaro" o dalla parola "ricchezza". Ma nei testi stampati qualche decade fa, si trova il termine 'mammona'.
Adesso, alla fine di questo lunghissimo post, proviamo a mettere il Papa nel contesto del
"...siamo qui per aiutare" ... Non mi sembra che sia un gran aiuto, il suo, con questa omelia del 08 di novembre 2013.
Probabilmente ho sbagliato... interpretazione.... ma se dire: 'Questa povera gente che ha perso la dignità nella pratica delle tangenti...' non è fuorviante per il comune cittadino, qualcuno me lo dovrebbe dimostrare e spiegare con molta cura.
Se poi, proprio vogliamo...eccola qui, la parabola, tutta intera. Da interpretare con la nostra testa:
Dal Vangelo secondo Luca 16,1-13:
In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli: «C’era un uomo ricco che aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: Che è questo che sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non puoi più essere amministratore. L’amministratore disse tra sé: Che farò ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ho forza, mendicare, mi vergogno. So io che cosa fare perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua. Chiamò uno per uno i debitori del padrone e disse al primo: Tu quanto devi al mio padrone? Quello rispose: Cento barili d’olio. Gli disse: Prendi la tua ricevuta, siediti e scrivi subito cinquanta. Poi disse a un altro: Tu quanto devi? Rispose: Cento misure di grano. Gli disse: Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta. Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. Ebbene, io vi dico: Procuratevi amici con la disonesta ricchezza, perché quand’essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne. Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto; e chi è disonesto nel poco, è disonesto anche nel molto. Se dunque non siete stati fedeli nella disonesta ricchezza, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra? Nessun servo può servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire a Dio e a mammona».
Felicità
Enzo